Ci voleva il Coronavirus per impiegare i droni in missioni di pattugliamento.
Gratis però, mai che questo fosse avvenuto in modo così diffuso per cercare mercatini della droga, ricettatori o quant’altro, fosse la borsetta rubata della sciura Gina o il motorino di suo nipote. Non posso fare a meno di notare che se da un lato l’essere utili alla collettività (anche rompendo le scatole alla gente, che altro non desidera che un po’ di normale libertà), è senza dubbio una buona cosa, dall’altra farlo gratuitamente proprio mentre siamo investiti da una crisi senza precedenti è assurdo. Ricordiamoci che stiamo volando per quel sistema che prima non voleva che lo facessimo, poi ci ha costretti a fare patente e registrazione, quindi ce lo ha imposto un altro paio di volte a causa di farraginosità e accordi industrial-politici perché qualcuno potesse guadagnarci. Ma noi sempre civili, obbedienti, finanche collaborativi quando ci sarebbe stato da mandare a quel paese tutti quanti e decollare. Perché mentre i nostri droni volano gratis, i tecnici arruolati dalla Protezione Civile vengono retribuiti, stante che oggi questa organizzazione è di fatto quasi equiparata a una nuova forza armata, ma guidata da un commercialista, nella quale i soldati sono stati forgiati durante le dure missioni internazionali dell’Erasmus e mille battaglie ai buffet degli aperitivi. Il punto è che accettare di “farlo gratis pur di farlo” pone il professionista del drone in un’area di zero-valore agli occhi della collettività, la quale sarà sempre tentata, anche dopo la pandemia, di chiamare tizio o caio offrendo “visibilità sui social” al posto degli euro. I dronisti sono in buona compagnia: dalle parti del Garda e nel Salento stanno volando addirittura degli ultraleggeri a motore per lo stesso scopo. Cioè piloti della domenica con preparazione ed esperienza assolutamente insufficiente prendono a bordo un pubblico ufficiale del quale diventano comandanti responsabili e sorvolano porzioni di territorio. Pare evidente che la caccia all’indisciplinato sia importantissima per risolvere una situazione come questa, ma anche che il protagonismo sia tra le caratteristiche di chi si trova ai comandi del mezzo. Eccoci, metti la casacca gialla e sei un semidio, eroe senza virus contro il peggio della società. Forse hanno ragione, beati quelli ai quali basta essere “drone e distintivo”. La cosa più squallida è che mai, leggendo i racconti di questi piloti postati sui social, emerge la benché minima preoccupazione di poter essere esposti al virus, come se la cosa non fosse possibile perché sono investiti di uno schermo istituzionale, oppure perché in fondo anche loro sanno perfettamente che questi provvedimenti sono esagerati quanto tardivi e mortali per l’economia, ma pur di poter giocare col drone inghiottono il rospo sperando che il sindaco li richiami presto in occasione più felice ma soprattutto remunerata. Con il Covid19 si è vissuto l’otto settembre più rapido della nostra storia: dagli abbracci ai cinesi ai droni spia in città in meno di due mesi. Del resto nonostante non tutto sia sempre andato alla grande nella gestione dei droni fatta da D-flight ed Enac, in quegli enti non è mai saltata una testa, anzi, qualcuno è stato persino promosso scalando le istituzioni aeronautiche internazionali, mentre altri, da pensionati, sono rientrati dalla finestra perché un favore al “compagno de’ corzo” non si nega mai. E ora che si è volato per l’emergenza, sarà forse più facile, ce lo auguriamo, dimostrare di poter essere utili, anche senza bisogno di seppellire 20 mila morti. E gloria sia, anche se dopo aver fatto le spie avremo meno consenso popolare, e far digerire la presenza dei droni in certe occasioni potrebbe essere più complicato.
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